Einstein e la località
Se c’è qualcosa che può contrariare un tedesco, impiegato nell’ufficio brevetti di una terra che è per definizione la patria degli orologi, è la mancanza di precisione. Se poi questa persona è impegnata in un lavoro metodico quale può essere quello di impiegato dell’ufficio brevetti, ed è a tempo perso un matematico, allora possiamo comprendere il suo disappunto quando le cose non funzionano come dovrebbero.
Stiamo parlando di Albert Einstein, il quale in tutto il suo percorso scientifico conobbe una sola cosa che lo faceva irritare veramente: la indeterminatezza quantistica. Einstein detestava con tutto il cuore la mancanza di disciplina delle particelle elementari per la loro caratteristica di sfuggente ambiguità, per cui rifiutavano di lasciar misurare contemporaneamente la loro posizione nello spazio o la loro velocità.
Tutto ciò era uno schiaffo anzi, uno sberleffo alle buone e solide regole della fisica newtoniana, su cui Einstein poggiava la sua teoria più conosciuta, quella della relatività.
Le leggi newtoniane sono graniticamente basate sul principio di causalità, conosciuto anche come determinismo. L’universo è fatto di materia, e nel regno della materia nulla accade per caso, tutto accade come conseguenza di altri eventi. La materia si attrae e si respinge, collide, si sposta o resta immobile, a spese dell’energia.
Solo una determinata energia, applicata a una materia, dà origine a un’azione o a una catena di azioni.
Immaginate un pallone ben disposto sul dischetto nell’area del rigore, in attesa che un calciatore lo lanci verso la porta. Credete possibile che quel pallone si lanci da solo verso la porta avversaria, senza ricevere il calcio del giocatore incaricato?
Immaginate un giocatore di golf che si predispone a colpire la pallina per lanciarla verso la buca. Non credete che quel giocatore, apparentemente impassibile, sarà invece tormentato da centinaia di elaborazioni mentali per calcolare con la massima precisione quale forza e quale angolazione imprimere alla pallina per dirigerla verso l’obiettivo? In effetti, nulla accadrà per caso: la pallina raggiungerà esattamente il punto corrispondente alla spinta ricevuta. Se il lancio avrà successo, dipenderà solo dalla precisione dei calcoli del lanciatore e di come questi avrà saputo trasferirli al suo braccio. Non accadrà mai che una pallina, giunta in base ai calcoli soltanto a un millimetro dall’orlo della buca, decida di propria iniziativa di lanciarsi un poco più avanti. Neppure accadrà che le grida e le sollecitazioni del pubblico la spingano a un percorso più preciso.
Noi sappiamo calibrare la nostra energia per ottenere i risultati desiderati, perché sappiamo che gli oggetti risponderanno con precisione assoluta ai nostri “comandi”.
Per questo possiamo lanciare sonde nello spazio facendole atterrare precisamente nei luoghi fissati, siano essi sulla Luna, su Marte o addirittura su una cometa, come accaduto con la missione Rosetta dell’Agenzia Spaziale Europea che ha fatto atterrare una sonda sulla 67P/Churyumov-Gerasimenko, un minuscolo sasso vagante a migliaia di chilometri di distanza nello spazio.
La causalità è alla base di tutte le cose.
Nel 1950 Alan Turing scriveva così nel suo libro Macchine calcolatrici e intelligenza:
“Lo spostamento di un singolo elettrone per un miliardesimo di centimetro, a un momento dato, potrebbe significare la differenza tra due avvenimenti molto diversi, come l’uccisione di un uomo un anno dopo, a causa di una valanga, o la sua salvezza”.
Nel 1972 Edward Lorentz titolò una sua conferenza: “Può, il batter d’ali di una farfalla in Brasile, provocare un tornado in Texas?”.
Nel mondo scientifico odierno, dove ogni cosa può essere pesata, misurata e determinata in laboratorio, dunque un mondo fatto solo di materia, posto in una dimensione dove il tempo cammina solo in avanti, questo è anche possibile.
In effetti, da questo punto di vista tutto è possibile, purché lo si possa misurare, e per fare ciò è necessario che abbia un peso e una dimensione, cioè sia materia o tempo, anche esso misurabile e prevedibile.
Sul fatto che una farfalla in Brasile possa causare un tornado nel Texas, possiamo avere delle riserve. Se mai ciò potesse avvenire, sarebbe solo una conseguenza molto indiretta, e comunque questa possibilità prevedrebbe talmente tante variabili da non essere calcolabile.
In fisica esiste un principio, detto di località, secondo cui oggetti distanti non possono avere influenza istantanea l’uno sull'altro: un oggetto è influenzato direttamente solo da una forza posta nelle sue immediate vicinanze. Occorre tenere conto dell’affievolirsi della forza di gravità all’aumentare della distanza. Inoltre, un segnale inviato in qualsiasi modo a un oggetto lontano avrebbe bisogno di tempo per superare la distanza, e la velocità non potrebbe superare i 300.000 chilometri al secondo, cioè la velocità della luce.
Einstein si preoccupò moltissimo quando dalla fisica quantistica cominciarono ad arrivare segnali di relazioni non-locali tra le particelle elementari.
I problemi che lo sconcertavano di più erano quelli posti dal principio di indeterminazione di Heisenberg. Enunciato nel 1927 da Werner Heisenberg, rappresenta un concetto cardine della meccanica quantistica e costituisce una rottura irreparabile rispetto alle leggi della meccanica classica.
Heisenberg dimostrò che non è possibile conoscere contemporaneamente e precisamente due variabili coniugate, per esempio la posizione precisa di una particella e la sua quantità di moto, o velocità.
Ciò contrastava notevolmente con le esigenze di ordine della fisica classica, con la quale possiamo calcolare qualunque cosa se conosciamo i valori di partenza. Per calcolare la traiettoria di una capsula spaziale o di una palla da biliardo devo sapere esattamente dove si trova all’inizio, quale spinta riceve e a quale velocità si muoverà.
Nella fisica quantistica, questi valori non sono mai disponibili contemporaneamente.
Se misuriamo contemporaneamente la posizione e la quantità di moto di una particella, i valori ricavati risultano assolutamente incerti. Questa incertezza non deriva dalle tecniche di misurazione, ma è la conseguenza della realtà quantistica che è probabilistica.
Il probabilismo si esprime benissimo se torniamo a considerare l’esperimento della doppia fenditura: un fotone lanciato contro la barriera con due fenditure ha la probabilità di attraversare una o l’altra, dunque le attraversa tutte e due. Solo l’osservatore può far collassare i diversi stati probabilistici in un solo punto. In una situazione non osservata, tutti gli stati probabilistici sussistono.
A proposito del probabilismo quantistico, Einstein pronunciò la famosa frase:
È difficile dare uno sguardo alle carte che Dio ha in mano, ma non posso credere neppure per un istante che giochi a dadi”.