Brahman e il campo di Higgs

Brahman e il campo di Higgs

Da millenni, l’uomo si interroga sulla realtà ultima, quell’essenza profonda che regge il cosmo. I saggi vedici dell’India antica identificarono questo principio universale con il termine Brahman: l'infinito, il tutto, l'unità indivisibile che permea ogni cosa. Nelle loro meditazioni, racchiuse nelle Upanishad (testi filosofici composti tra il VII e il II secolo a.C.), descrissero Brahman come la base invisibile e immutabile della realtà. Non un dio personale, ma una forza onnipresente e fondamentale. 

Con una sorprendente convergenza, la fisica moderna, attraverso concetti come il campo di Higgs, sembra sfiorare idee simili. Il campo di Higgs, scoperto concretamente con un esperimento al CERN nel 2012, è una sorta di "tessuto invisibile" che permette alle particelle di acquisire massa. L'analoga ricerca del "fondamento" ha portato scienziati e mistici indiani su percorsi paralleli, sebbene con strumenti diversi: matematica ed esperimenti da un lato, intuizione filosofica dall'altro. 

Per comprendere Brahman, i testi delle Upanishad usano metafore evocative.

"Come l'olio permea il seme del sesamo o l’essenza del burro è nascosta nel latte, così Brahman è ovunque, invisibile ma onnipresente",

recita la Chandogya Upanishad. Allo stesso modo, il campo di Higgs è ovunque, ma invisibile ai sensi. La fisica ha bisogno di giganteschi acceleratori per trovare la "traccia" di una forza che, paradossalmente, è sempre presente. 

L’interconnessione universale descritta nell’induismo, attraverso Brahman, si riflette nel comportamento delle particelle subatomiche. Persone come Erwin Schrödinger, uno dei padri della meccanica quantistica, rimasero affascinate dalla filosofia vedica. Schrödinger studiò l'induismo e citò a più riprese la "coincidenza impressionante" tra le sue intuizioni scientifiche e l’antica dottrina secondo cui "ogni essere è uno con l’universo". 

All’interno del Large Hadron Collider vicino a Ginevra, i fisici inseguono verità che gli antichi cercavano in grotte e foreste del subcontinente indiano. Nonostante la distanza tecnica, lo spirito del viaggio è analogo. Per esempio, Peter Higgs, prima della conferma scientifica del “suo” bosone, era mosso dalla stessa meraviglia descritta da Yajnavalkya, un sapiente vedico vissuto nel I millennio a.C., il quale affermava che Brahman non può essere conosciuto con i sensi, ma solo intuitivamente. 

L’analogia tra il cammino dell’induismo e quello della fisica quantistica ci rivela, infine, qualcosa di fondamentale. La mente umana – sia quella del mistico che quella dello scienziato – anela da sempre a un’unica cosa: comprendere il mosaico della realtà, scoprendone ogni tessera. E, forse, unendo Brahman al bosone di Higgs, intuiamo che le risposte non sono così distanti come sembrano. 

In un passo delle Upanishad, antichi testi sacri dell’induismo, il saggio Yajnavalkya dichiara:

"Tutto ciò che esiste è avvolto dal Brahman. Nulla esiste al di fuori di esso."

Questo concetto, che definisce il Brahman come principio universale e realtà ultima, trova oggi sorprendenti parallelismi con la fisica quantistica moderna, in particolare con il campo di Higgs.

Il Brahman, descritto come l’essenza che permea tutto ciò che esiste, viene spesso dipinto non in termini concreti, ma come una forza indefinibile, onnipresente e invisibile. Allo stesso modo, il campo di Higgs, teorizzato negli anni ’60 dal fisico britannico Peter Higgs, è una rete sottile e invisibile che attraversa tutto l’universo. Essa conferisce massa alle particelle elementari attraverso un’interazione che ne condiziona il comportamento. In un certo senso, tutto ciò che ha consistenza nel nostro universo esiste e interagisce solo grazie al campo di Higgs, proprio come il Brahman è responsabile dell’esistenza e della coerenza dell’intero creato secondo la visione vedica.

La fisica quantistica ci ha rivelato che la realtà non è fatta di oggetti solidi e separati, ma di onde, campi e connessioni profonde. Questa intuizione fa eco al concetto vedico secondo cui tutta la molteplicità del mondo è illusoria (Maya): una proiezione dell’unica realtà sottostante, ossia il Brahman. Le Upanishad descrivono il Brahman come "il filo che tiene unite le perle di un collier". Questa immagine poetica suggerisce un principio unificatore che collega tutto ciò che vediamo. Similmente, il campo di Higgs rappresenta un tessuto invisibile che unisce materia ed energia a un livello fondamentale.

Yajnavalkya, nella Brihadaranyaka Upanishad, invita a contemplare un universo interconnesso, dominato dal Brahman, e propone un percorso di conoscenza interiore per percepirlo. Allo stesso modo, la fisica moderna ci invita a esplorare i misteri dell'universo attraverso i suoi componenti più piccoli. La scoperta del bosone di Higgs è avvenuta nel 2012.. Questa particella, talvolta nota come “la particella di Dio” rappresenta una svolta paragonabile, in termini di comprensione, alla rivelazione che ogni cosa non è separata, ma parte di un tutto.

Il fisico Fritjof Capra ha esplorato questi collegamenti tra fisica moderna e antiche filosofie orientali. Capra afferma che le teorie quantistiche e i testi vedici convergono in un unico punto: l'universo come una rete di relazioni e interazioni. Vie parallele, secondo Capra, che dimostrano come la scienza e la spiritualità possano offrirci immagini complementari della realtà.

Brahman e il campo di Higgs non sono concetti identici; la loro natura, rispettivamente metafisica e scientifica, li colloca su piani diversi. Tuttavia, entrambi invitano a riflettere su un universo intrinsecamente connesso, in cui il sé individuale non è mai veramente separato dal tutto. Forse, come suggeriscono gli antichi saggi vedici e gli scienziati moderni, il nostro scopo non è tanto comprendere l’universo come un’entità esterna, ma percepire la nostra profonda unità con esso.