La transizione dalla fisica classica alla fisica quantistica.
(Tratto da: Dai confini delle galassie all’entanglement quantistico)
Siamo davvero sicuri di comprendere la realtà che ci circonda? Nell’universo microscopico, ciò che appare certo nella nostra vita quotidiana si sgretola. La transizione dalla fisica classica alla fisica quantistica, avvenuta tra il XIX e il XX secolo, rappresenta una delle rivoluzioni intellettuali più straordinarie della storia umana. Questo passaggio ha aperto le porte a una nuova visione del mondo, profondamente controintuitiva, grazie al lavoro di menti brillanti come Werner Heisenberg, Albert Einstein ed Erwin Schrödinger.
La fisica classica e i suoi limiti.
All’inizio del XIX secolo, la fisica sembrava una scienza compiuta. Le leggi formulate da Newton descrivevano il comportamento degli oggetti macroscopici con precisione. Dai moti dei pianeti alla caduta di una mela, tutto sembrava spiegabile con equazioni chiare e deterministiche. Pierre-Simon Laplace, uno dei massimi esponenti del determinismo scientifico, affermava che, conoscendo lo stato attuale dell’universo, si sarebbe potuto prevedere con certezza il futuro.
Ma il sogno della fisica classica iniziò a vacillare. Negli esperimenti sull’energia e la luce, emersero discrepanze che nessuna formula tradizionale riusciva a spiegare. Un esempio emblematico è il cosiddetto "problema della radiazione del corpo nero". Alla fine dell’Ottocento, gli scienziati si accorsero che le leggi classiche fallivano nel descrivere l’emissione di radiazione elettromagnetica da parte di un corpo incandescente. Chi avrebbe mai immaginato che la soluzione avrebbe richiesto una radicale revisione del concetto di realtà?
La nascita della quantizzazione.
Nel 1900, Max Planck introdusse un’idea provocatoria: l’energia non può essere emessa o assorbita in modo continuo, ma solo in "quanti", pacchetti discreti. Planck non aveva pienamente compreso le implicazioni della sua scoperta, ma quel punto di partenza avrebbe cambiato tutto. Albert Einstein, nel 1905, ampliò questa visione spiegando l’effetto fotoelettrico (l’emissione di elettroni da un metallo colpito dalla luce), dimostrando che la luce stessa era composta di quanti, i "fotoni". Questa scoperta gli valse il Premio Nobel nel 1921.
Einstein, pur essendo tra i fondatori della fisica quantistica, rimase sempre scettico riguardo a dove essa conduceva. La sua frase "Dio non gioca a dadi" sintetizza il suo rifiuto dell’aspetto probabilistico e indeterministico della teoria che stava prendendo forma.
Negli anni ’20, Werner Heisenberg portò la fisica quantistica su un nuovo piano con il principio di indeterminazione, enunciato nel 1927. Heisenberg dimostrò che è impossibile conoscere con precisione assoluta sia la posizione che la velocità di una particella subatomica: più si cerca di misurare una grandezza, più si perde precisione nell’altra. Questo principio mise fine all’idea che il mondo microscopico fosse prevedibile e deterministico come quello descritto da Newton.
L’indeterminazione non è un limite della strumentazione umana, come si potrebbe pensare. È una proprietà intrinseca della natura. Come scrisse Heisenberg:
“Quello che osserviamo non è la natura stessa, ma la natura esposta al nostro metodo di osservazione.”
Erwin Schrödinger, un altro protagonista della rivoluzione quantistica, contribuì attraverso l’equazione che porta il suo nome, capace di descrivere l'evoluzione nel tempo di una particella quantistica. Tuttavia, Schrödinger non era soddisfatto dell’interpretazione di Copenhagen, proposta da Niels Bohr e Heisenberg, secondo cui le particelle esistono in uno stato di probabilità finché non vengono osservate.
Per mettere in discussione questa idea, Schrödinger ideò il famoso esperimento mentale del "gatto di Schrödinger" nel 1935. Immaginò un gatto chiuso in una scatola con un meccanismo innescato dal decadimento di una particella quantistica. Se attivato, il meccanismo avrebbe ucciso il gatto. Secondo le leggi della fisica quantistica, finché la scatola resta chiusa, il gatto è, allo stesso tempo, vivo e morto,. Solo aprendo la scatola e osservando la situazione, lo stato del gatto “collassa" in una delle due possibilità. Questo paradosso, sebbene immaginario, poneva una domanda fondamentale: dove finisce il mondo quantistico e inizia la realtà macroscopica?
Le implicazioni della fisica quantistica vanno oltre la scienza. Il concetto di probabilità e indeterminazione ha influenzato profondamente anche la cultura. L’idea che la realtà sia in parte costruita dall’osservatore ha ispirato non solo fisici, ma anche filosofi, scrittori e artisti. Un esempio è il movimento surrealista, il cui interesse per il subconscio e l’irrazionale trova paralleli nelle stranezze del mondo quantistico.
Werner Heisenberg lavorò a Lipsia, città che divenne per un breve periodo il centro della rivoluzione quantistica. Einstein, invece, trascorse anni decisivi a Berlino prima del suo esilio negli Stati Uniti nel 1933. Schrödinger operò a Vienna, ma la Seconda Guerra Mondiale lo costrinse a spostarsi in Irlanda, dove trascorse gli ultimi anni della sua carriera.